Aiuto Biblico

L’uno con l’altro - Giacomo 5:13-16

filename: 59-05B-A.doc di Marco deFelice, www.aiutobiblico.org - sermone su Giacomo. Oggi, Giacomo 5:13-16 Parte di una serie di Sermoni. Per Rovigo, 25 luglio 1999, di Marco deFelice>Giacomo 5:13-16

intro

Tanti credenti hanno una tendenza che può sembrare normale, dal punto di vista del mondo, ma che è molto pericolosa. È la tendenza di vivere la vita cristiana in modo indipendente. Cioè, secondo questo modo di pensare, si ha comunione, mentre le lotte spirituali, le difficoltà, i dubbi, si tengono per sé. In altre parole, si può stare insieme agli altri, e condividere tante belle cose, ma i problemi più profondi si tengono nascosti agli altri. Non si rivelano i propri peccati uno all’altro, non si rivelano le lotte interiori. Secondo questo modo di pensare, bisogna portare sempre una maschera, che nasconde quello che c’è dentro.

Il mondo la pensa così, e tanti credenti pensano in modo simile, senza rendersi conto che hanno preso questo comportamento dal mondo.

Invece, come vedremo nel brano odierno di Giacomo, e come vediamo in tanti altri brani della Bibbia, non è così che Dio ci insegna a vivere. Abbiamo bisogno l’uno dell’altro al livello più personale.

Oggi, vogliamo considerare i seguenti versetti del libro di Giacomo. Vogliamo capire qual è l’insegnamento di Dio per quanto riguarda come possiamo essere d’aiuto l’uno all’altro nel nostro cammino verso il cielo.

Leggiamo i vv.13-16.

C’è tra di voi qualcuno che soffre? Preghi. C’è qualcuno d’animo lieto? Canti degli inni. 14 C’è qualcuno che è malato? Chiami gli anziani della chiesa ed essi preghino per lui, ungendolo d’olio nel nome del Signore: 15 la preghiera della fede salverà il malato e il Signore lo ristabilirà; se egli ha commesso dei peccati, gli saranno perdonati. 16 Confessate dunque i vostri peccati gli uni agli altri, pregate gli uni per gli altri affinché siate guariti; la preghiera del giusto ha una grande efficacia.

Qualcuno che soffre

Iniziamo considerando il v.13.

C’è tra di voi qualcuno che soffre? Preghi.

È importante sapere che la sofferenza fa parte della vita di tutti gli uomini sulla terra, credenti e non credenti. Il fatto che siamo salvati, che apparteniamo a Dio, che abbiamo la vita eterna e ogni benedizione spirituale, non vuol dire che non avremo sofferenza. Nella vita cristiana, c’è anche la sofferenza. La sofferenza non è immaginaria, e a volte, può essere anche molto pesante.

Un credente che non conosce questa verità, cioè, uno che pensa che non soffrirà mai, corre grossi pericoli per la sua fede. Negli anni, ho visto tante volte dei credenti che credevano così, o in base ai loro ragionamenti, o a causa di insegnamento sbagliato che avevano ricevuto. Cioè, credevano che Dio non può permettere che i suoi figli soffrano. Allora, quando una persona che crede questo comincia a trovarsi in grande sofferenza, diventa una prova terribile per la sua fede. Egli comincia a dubitare la bontà di Dio, comincia a dubitare della propria salvezza, può dubitare che Dio sia in controllo della situazione. Tutti questi dubbi nascono perché quella persona crede che non dovrebbe soffrire.

Invece, la Bibbia è molto chiara sul fatto che la sofferenza fa parte della vita cristiana. Per esempio, in Romani 8:17, leggiamo che siamo coeredi di Cristo. Però, notiamo cosa vuol dire questa realtà. Se siamo figli, siamo anche eredi; eredi di Dio e coeredi di Cristo, se veramente soffriamo con lui, per essere anche glorificati con lui.

Una parte dell’essere veri coeredi di Cristo consiste nel partecipare veramente alle Sue sofferenze.

In 2 Timoteo, troviamo Paolo in prigione, aspettando la morte. Egli scrive per l’ultima volta a Timoteo, il suo caro figlio nella fede. Notiamo quello che dice della sofferenza.

2 Timoteo 2:3 Sopporta anche tu le sofferenze, come un buon soldato di Cristo Gesù.

2 Timoteo 2:8,9 Ricòrdati di Gesù Cristo, risorto dai morti, della stirpe di Davide, secondo il mio vangelo, per il quale io soffro fino ad essere incatenato come un malfattore; ma la parola di Dio non è incatenata.

2 Timoteo 4:5 Ma tu sii vigilante in ogni cosa, sopporta le sofferenze, svolgi il compito di evangelista, adempi fedelmente il tuo servizio.

Paolo parla della sua sofferenza, e poi due volte esorta Timoteo a sopportare le sofferenze. Questo è un avvertimento a Timoteo e a noi che la sofferenza fa parte della vita cristiana.

Allora, tornando al nostro brano di Giacomo, possiamo considerare quello che Dio ci dice tramite Giacomo.

C’è tra di voi qualcuno che soffre? Preghi.

Quando un credente soffre, deve pregare. Cosa ci insegna, questo versetto?

Quando soffriamo, qual è la nostra tendenza naturale? Per natura dove va il nostro pensiero quando soffriamo? In qualunque momento di sofferenza, corriamo il pericolo di avere pensieri negativi. Corriamo il pericolo di immaginare che Dio non ci sta prendendo cura di noi. Possiamo immaginare che Dio non sia con noi. In altre parole, la sofferenza può provocare tanti pensieri sbagliati e pericolosi.

Allora, quando ci troviamo nella sofferenza, abbiamo bisogno di pregare. Leggendo tutto il brano, vediamo che è importante anche avere le preghiere degli altri. Ma il punto principale di questo versetto è l’importanza che la persona che soffre preghi. Ecco il senso del versetto: C’è tra di voi qualcuno che soffre? Preghi. Cioè, anziché permettere dei pensieri negativi, anziché permettere ai dubbi di girare nella nostra mente, anziché chiederci se Dio c’è ancora, quando soffriamo, noi dobbiamo rivolgerci a Dio. La preghiera è essenziale come difesa contro i dubbi e contro lo scoraggiamento e i pensieri negativi.

Abbiamo bisogno di rivolgerci a Dio.

Però, è importante sapere quale dovrebbe essere il contenuto delle nostre preghiere. Tante persone, anche persone non salvate, pregano quando soffrono. Sappiamo qual è il contenuto delle loro preghiere. Chiedono a Dio di togliere la sofferenza. Però, non è questo ciò che Dio ci insegna a pregare.

Se pensiamo all’esempio di Gesù, quando si trovava nel giardino, la notte che fu arrestato, vediamo che la sua preghiera non era principalmente una richiesta che Dio Padre togliesse la sua sofferenza, ma che la volontà di Dio fosse fatta. Ascoltiamo le sue parole:

Allora disse loro: «L’anima mia è oppressa da tristezza mortale; rimanete qui e vegliate con me». 39 E, andato un po’ più avanti, si gettò con la faccia a terra, pregando, e dicendo: «Padre mio, se è possibile, passi oltre da me questo calice! Ma pure, non come voglio io, ma come tu vuoi». …Di nuovo, per la seconda volta, andò e pregò, dicendo: «Padre mio, se non è possibile che questo calice passi oltre da me, senza che io lo beva, sia fatta la tua volontà». (Matteo 26:38-39,42)

La richiesta principale della preghiera di Gesù non era che Dio togliesse la sofferenza, ma che la volontà di Dio fosse fatta. Quando Gesù pregò per Pietro, in Luca 22, non chiese che Pietro potesse evitare la sofferenza della prova, ma che potesse avere la fede di superare la prova.

«Simone, Simone, ecco, Satana ha chiesto di vagliarvi come si vaglia il grano; 32 ma io ho pregato per te, affinché la tua fede non venga meno; e tu, quando sarai convertito, fortifica i tuoi fratelli». (Luca 22:31-32)

Quando Paolo ebbe la terribile sofferenza di cui è scritto in 2 Corinzi 11, che a lui sembrava insopportabile, chiese a Dio di allontanare da lui la sofferenza. Poi però, capì che anziché rimuovere la sofferenza, Dio gli dava più grazia. Ascoltiamo le parole di Paolo a riguardo:

8 Tre volte ho pregato il Signore perché l’allontanasse da me; 9 ed egli mi ha detto: «La mia grazia ti basta, perché la mia potenza si dimostra perfetta nella debolezza». Perciò molto volentieri mi vanterò piuttosto delle mie debolezze, affinché la potenza di Cristo riposi su di me. 10 Per questo mi compiaccio in debolezze, in ingiurie, in necessità, in persecuzioni, in angustie per amor di Cristo; perché, quando sono debole, allora sono forte. (2Corinzi 12:8-10)

Paolo aveva imparato che la sofferenza non era qualcosa da evitare, ma da sopportare con la grazia di Dio. È per questo che egli, anni più tardi, scrisse a Timoteo dicendogli di sopportare le sofferenze, come un buon soldato.

Allora, quando Dio ci insegna che chi soffre deve pregare, non intende che deve pregare perché la sofferenza finisca. Pregare così vuol dire rischiare di cadere in grande confusione, perché molto spesso, Dio non risponde a quella preghiera, in quanto le sofferenze fanno parte del suo piano per noi.

Invece, quando preghiamo, dobbiamo pregare per avere più fede, dobbiamo pregare per la grazia di sopportare le sofferenze. Dobbiamo pregare come Cristo, cioè, dobbiamo chiedere a Dio che la sua volontà sia fatta.

Quindi, quando soffriamo, abbiamo due scelte. Possiamo buttarci nella fossa dello scoraggiamento e della rabbia, guardando male il fatto che Dio abbia permesso la nostra sofferenza, oppure, possiamo rivolgerci a Dio con più fervore del solito, guardando a Lui per ricevere la grazia di sopportare la prova che Egli permette. Questa è la risposta che Dio ci insegna.

chi è di animo lieto

Continuiamo il brano, leggendo la seconda parte del v.13.

C’è qualcuno d’animo lieto? Canti degli inni.

Abbiamo appena visto che quando soffriamo, c’è il pericolo di distogliere i nostri occhi da Dio. Ma c’è lo stesso pericolo anche quando siamo di cuore lieto. Cioè, quando Dio ci permette una situazione che ci dà un cuore lieto, allora, in quel momento, è molto facile distogliere gli occhi da Dio. Infatti, si può guardare così tanto alla benedizione da non guardare abbastanza a Dio.

Perciò, per evitare questo pericolo, Dio ci insegna in questo versetto che quando siamo d’animo lieto, dovremmo cantare degli inni.

Cantare inni, che viene anche tradotto, “cantare salmi”, è qualcosa che ci aiuta a tenere lo sguardo su Dio. Quando cantiamo inni e salmi, le parole ci aiutano a ricordare che ogni benedizione viene da Dio. Ci aiutano a ricordare la gloria di Dio. Ci aiutano a ricordare la verità del Giudizio, e della nostra salvezza, e della bontà di Dio.

Chiaramente, non dobbiamo limitarci a cantare inni solamente quando siamo d’animo lieto, come non dobbiamo limitarci a pregare solo quando siamo nella sofferenza. Però, quando siamo d’animo lieto, è molto importante impegnarci di più a cantare inni, per ricordarci di Dio, e per riconoscere da dove vengono le nostre benedizioni. Possiamo cantare insieme, come chiesa, e possiamo cantare da soli, durante la settimana. La musica è uno strumento molto potente, perché arriva al cuore molto prima di tanti discorsi. Perciò, è importante che la musica che cantiamo, e oggi, possiamo dire, che ascoltiamo, sia musica che ci aiuta realmente a ringraziare Dio e a ricordare le verità di Dio.

Infatti, quando consideriamo quanto la musica è potente da influenzare il nostro stato d’animo, e come le parole delle canzoni che ascoltiamo vengono fissate nel cuore, è molto importante che valutiamo con molta attenzione la musica che ascoltiamo, e anche la musica che facciamo ascoltare ai nostri figli. Non vogliamo riempire il nostro cuore con parole che non ci portano a pensare alle verità di Dio.

Perciò, riassumendo il v.13, sia quando soffriamo che quando siamo d’animo lieto, rischiamo di non guardare a Dio. Abbiamo bisogno di rivolgerci a Dio in entrambe le circostanze, con la preghiera, e cantando inni.

v.14,15, 16 il malato

Adesso, passiamo ai vv.14, 15 e 16

C’è qualcuno che è malato? Chiami gli anziani della chiesa ed essi preghino per lui, ungendolo d’olio nel nome del Signore: 15 la preghiera della fede salverà il malato e il Signore lo ristabilirà; se egli ha commesso dei peccati, gli saranno perdonati. Confessate dunque i vostri peccati gli uni agli altri, pregate gli uni per gli altri affinché siate guariti; la preghiera del giusto ha una grande efficacia.

Per capire questo brano, dobbiamo guardare attentamente ai dettagli. Qui si parla di un malato. Al v.15, parlando del malato, dice: “se egli ha commesso dei peccati, gli saranno perdonati". Poi, al v.16, leggiamo di confessare i peccati l’uno all’altro, pregando l’uno per l’altro affinché siamo guariti.

Da questo, possiamo capire che si tratta principalmente della malattia che è una forma di disciplina da Dio.

In 1 Corinzi 11:29,30 Paolo sta parlando dell’importanza di esaminarsi prima di prendere la cena del Signore; non che la cena è un rito magico, ma è una parte normale della vita cristiana, che simbolizza la nostra unione con Cristo.

Cioè, se abbiamo peccato nella nostra vita, e saltiamo la cena del Signore, non per quello evitiamo la disciplina di Dio. Perciò, ogni credente deve esaminarsi, per riconoscere se c’è qualche peccato nella sua vita. Ascoltiamo questo brano:

poiché chi mangia e beve, mangia e beve un giudizio contro sé stesso, se non discerne il corpo del Signore. 30 Per questo motivo molti fra voi sono infermi e malati, e parecchi muoiono. (1Corinzi 11:29-30)

Questo brano ci insegna che quando abbiamo dei peccati non confessati al Signore, un mezzo che il Signore usa per disciplinarci è la malattia. Questo brano parla anche di infermità, e anche la morte fisica. La disciplina del Signore può essere anche dura, perché il Signore è un buon Padre, e non vuole lasciarci nel peccato.

Allora, tornando al nostro brano in Giacomo, sembra chiaro dal contesto che qui, principalmente, si tratta di una malattia che è il risultato di un peccato non confessato. Cioè, si tratta di una malattia che è una disciplina del Signore. È per quello che il malato ha bisogno di perdono.

Capendo questo, rileggiamo il brano, cercando di capire il senso, e sapendo che il malato in questo brano è uno che probabilmente ha un peccato che non aveva confessato a Dio.

C’è qualcuno che è malato? Chiami gli anziani della chiesa ed essi preghino per lui, ungendolo d’olio nel nome del Signore: 15 la preghiera della fede salverà il malato e il Signore lo ristabilirà; se egli ha commesso dei peccati, gli saranno perdonati. Confessate dunque i vostri peccati gli uni agli altri, pregate gli uni per gli altri affinché siate guariti; la preghiera del giusto ha una grande efficacia.

Quando una persona ha un peccato che non ha confessato, e Dio lo disciplina mediante una malattia, lo scopo di quella disciplina è di farlo tornare a Dio. Sappiamo che la Bibbia parla dell’importanza di ammonire ed esortare. Allora, possiamo presumere che gli anziani (nel senso di pastori) abbiano già ammonito ed esortato questa persona più volte a ravvedersi e ad abbandonare il suo peccato. Fino a questo punto, egli ha rifiutato, e perciò, Dio ha mandato una malattia come disciplina.

Ad un certo punto, questa persona si arrende a Dio, e con cuore pentito, chiama gli anziani. È sottinteso nel fatto di chiamare gli anziani che la persona si umili e riconosca il suo peccato, perché se così non fosse, non servirebbe chiamarli, in quanto rifiuterebbero di pregare per lui se fosse ancora nel peccato.

Gli anziani, vedendo il suo cuore pentito, vedendo la sua umiltà davanti a Dio, pregano per lui. Questo uomo ha fede, perché confessare il suo peccato a Dio vuol dire credere che Dio perdona. Gli anziani hanno fede. Perciò, la loro preghiera è una preghiera di fede, fede loro e fede di questa persona.

Ascoltiamo ancora il risultato di tale preghiera, in questa situazione: “la preghiera della fede salverà il malato e il Signore lo ristabilirà; se egli ha commesso dei peccati, gli saranno perdonati". Dio perdona quella persona per il suo peccato, e la salva dalla sua malattia, in quanto, essendo pentito, non serve più la disciplina. I peccati che ha commesso gli saranno perdonati.

Un commento sulla frase: “ungendolo d’olio nel nome del Signore". Non è chiarissimo qual è il senso di questa frase. Nel tempo della Bibbia, l’olio d’oliva fu usato come medicina, sia per malattie, sia per ferite. Questa frase allora potrebbe indicare che oltre alle preghiera, gli anziani aiutano la persona ad avere cure mediche. Però, se la malattia è una disciplina dal Signore, la cosa più importante per essere guariti non è la cura medica, ma il perdono del peccato che ha provocato la disciplina.

Però, l’olio fu anche usato per rappresentare la presenza dello Spirito Santo, in senso simbolico. Cioè, se questo è il senso, allora, visto che lo Spirito Santo è spesso simboleggiato con olio, ungere con olio non è una cosa materiale, cioè, non si tratta di usare realmente dell’olio, ma rappresenta la consolazione, il conforto, e la forza che gli anziani potrebbero dare al credente, tramite lo Spirito Santo.

Qualsiasi dei due sia il senso di ungere con olio, il punto principale è quello che quando qualcuno sta male, e la malattia è una disciplina del Signore causata dal rifiuto di confessare un peccato, allora, chiamare gli anziani rappresenta un cambiamento di cuore, cioè, dimostra che la persona è arrivata al punto di riconoscere e accettare le esortazioni al ravvedimento. Vedendo il suo cuore cambiato, gli anziani pregano per il credente, e Dio opera, e perdona i peccati, e il credente viene ristabilito nel suo cammino con Dio.

v.16

A questo punto, consideriamo il v.16.

Confessate dunque i vostri peccati gli uni agli altri, pregate gli uni per gli altri affinché siate guariti; la preghiera del giusto ha una grande efficacia. (Giacomo 5:16)

Questo è un versetto molto importante. Prima di tutto, visto che viviamo in una società a maggioranza cattolica, precisiamo che questo versetto non può intendere una confessione ad un prete. Prima di tutto, secondo la Bibbia, non esiste una classe di preti. Poi, questo versetto parla di confessare i peccati gli uni agli altri, non dice affatto che i credenti debbano confessare i loro peccati a qualche pastore o prete.

Invece, il senso di questo versetto è prima di tutto che quando pecchiamo contro un fratello o contro una sorella, oltre a confessare questo a Dio, dovremmo confessare il nostro peccato a quella persona.

Allora, qui, vorrei chiarire una cosa. Se io ho cattivi pensieri contro qualcuno, o gelosia, o qualcosa del genere, ma rimane solo a livello di pensiero, e non peccato con parole, né con azioni né con il mio comportamento verso la persona, allora, non è necessario confessare questo alla persona. Posso confessare il mio peccato solamente al Signore. Infatti, diversamente potrei danneggiare il rapporto con quella persona. Invece, se ho cattivi pensieri, o gelosia, o qualcosa di simile, e questo mi porta ad agire o parlare in modo negativo verso quella persona, cioè, se il mio peccato diventa visibile alla persona, allora, dovrei confessare il mio peccato non solo a Dio, ma anche alla persona.

Infatti, come regola, la confessione dovrebbe essere pubblica in proporzione a quanto il peccato è stato pubblico. Cioè, se un peccato è stato commesso davanti ad una sola persona, si dovrebbe confessare a quella persona. Se un peccato è stato commesso davanti a più persone, allora, bisogna confessare quel peccato davanti a tutte le persone che hanno visto quel peccato. Questo è molto importante. Se io ho peccato contro di te, e poi, confesso a Dio in segreto, ma non dico nulla a te, tu non sai che ho confessato il mio peccato. È molto importante che confessiamo i nostri peccati gli uni agli altri.

Confessate dunque i vostri peccati gli uni agli altri, pregate gli uni per gli altri affinché siate guariti; la preghiera del giusto ha una grande efficacia.

Confessando un peccato ad un altro credente, significa che poi quel credente pregherà per noi, e Dio rimuoverà la disciplina. Allora arriva la guarigione.

C’è un altro motivo per cui è utile confessare i nostri peccati gli uni agli altri. Quando confessiamo i nostri peccati gli uni agli altri, il risultato è che gli altri pregano per noi. Capita nella nostra vita che abbiamo peccati che confessiamo a Dio, ma per qualche ragione, cadiamo di nuovo negli stessi peccati. Quando vediamo che questo continua, potrebbe essere molto utile avere le preghiere di altri credenti a sostenerci nella lotta contro il peccato. Infatti, delle volte, la lotta contro il peccato può essere molto dura. Ascoltiamo Ebrei 12

4 Voi non avete ancora resistito fino al sangue nella lotta contro il peccato, 5 e avete dimenticato l’esortazione rivolta a voi come a figli: «Figlio mio, non disprezzare la disciplina del Signore, e non ti perdere d’animo quando sei da lui ripreso; 6 perché il Signore corregge quelli che egli ama, e punisce tutti coloro che riconosce come figli».

In questi versetti, si parla di resistere fino al sangue nella lotta contro il peccato. Quando lottiamo contro il peccato, spesso la scelta sta fra cercare l’approvazione degli uomini o l’approvazione di Dio. Oppure, possiamo scegliere il piacere della carne anziché l’approvazione di Dio. Quando scegliamo l’approvazione di Dio, questo può portarci ad andare contro gli uomini, anche al punto di essere perseguitati. Dire “no” alla carne vuol dire resistere al peccato, anche fino al sangue.

Quando stiamo lottando contro un peccato, abbiamo bisogno dell’aiuto e dell’appoggio di altri credenti. Dio ci ha fatti parte di una famiglia, e abbiamo bisogno gli uni degli altri, per essere fortificati, tramite la preghiera, per poter resistere contro ogni peccato. Perciò, quando abbiamo dei peccati che non riusciamo a superare, è importante cercare l’aiuto degli altri, affinché possano assisterci nella preghiera, per ottenere l’aiuto necessario per avere la vittoria che desideriamo.

conclusione

Abbiamo ancora altro da vedere in questo brano, ma per il momento, concludo. Riprenderemo lo stesso brano la settimana prossima, Dio volendo.

Ricordiamo che quando ci troviamo nella sofferenza, è molto importante pregare, ancora più del solito, per evitare di cadere nel peccato di avere pensieri negativi contro Dio, e altri dubbi. Abbiamo bisogno di pregare ferventemente, chiedendo a Dio non di togliere la sofferenza, ma di darci la grazia di sopportare la prova.

Quando siamo di animo lieto, è importante cantare inni, e dare molta lode e gloria a Dio. Altrimenti, rischiamo di cadere nel peccato di dimenticare Dio. Infatti, se ricordiamo la storia di Israele, come popolo si sono dimenticati di Dio maggiormente quando le cose andavano bene.

Ricordiamo quanto la musica è uno strumento potente. Dunque, scegliamo con cura quello che ascoltiamo.

Poi, quando abbiamo una malattia, o qualche altra prova, conviene esaminarci, per vedere se abbiamo qualche peccato non confessato. Dobbiamo riconoscere che quando lo Spirito Santo ci convince di un peccato, è una convinzione chiara, e riconosciamo bene il peccato. Invece, a volte Satana ci mette in testa un senso di colpa, ma non per qualcosa di specifico. Qui, parliamo di quando riconosciamo il nostro peccato. Se non abbiamo confessato un peccato, è bene chiamare gli anziani della chiesa, per confessare davanti a loro il peccato, e chiedere a loro di pregare Dio.

Infine, quando pecchiamo l’uno contro l’altro, è importante confessare i nostri peccati l’uno all’altro, e non solo a Dio. Dovremmo confessare i nostri peccati a coloro che hanno visto i nostri peccati. Cioè, la confessione dovrebbe essere pubblica quanto il peccato è stato pubblico. Quando preghiamo gli uni per gli altri, questa diventa un’arma potente nella lotta contro il peccato.

La prossima settimana, vogliamo considerare più a fondo quanto la preghiera è uno strumento potente. Per ora, prego che possiamo veramente seguire quello che Dio ci ha insegnato in questo brano.